Batterie redox al vanadio

La batteria redox al vanadio nella forma attuale (con elettroliti ad acido solforico) fu brevettata dall'Università del Nuovo Galles del Sud (Australia) nel 1986.[1] Si tratta di un tipo di batteria di flusso ricaricabile che utilizza coppie redox di vanadio in entrambe le semicelle, in modo da eliminare problemi di contaminazione dovuti alla diffusione di ioni attraverso la membrana. L'uso di coppie redox di vanadio in batterie a flusso era già stato suggerito in precedenza da Pissoort,[2] da ricercatori della NASA e da Pellegri e Spaziante nel 1978,[3], ma la prima dimostrazione riuscita e il primo sviluppo commerciale si devono a Maria Skyllas-Kazacos e collaboratori all'Università del Nuovo Galles del Sud nel 1980.[4] La batteria redox al vanadio sfrutta la capacità del vanadio di esistere in soluzione in quattro diversi stati di ossidazione; in questo modo si può fare una batteria con un solo elemento elettroattivo anziché due. I vantaggi principali della batteria redox al vanadio sono che si può ottenere una capacità pressoché illimitata semplicemente usando serbatoi grandi a piacere, la si può lasciare completamente scarica per lunghi periodi senza effetti avversi, la si può ricaricare semplicemente sostituendo l'elettrolita se non è disponibile altra fonte di energia per ricaricarla, e non c'è nessun danno permanente se i due elettroliti sono accidentalmente mescolati. Gli svantaggi principali di questa tecnologia sono un rapporto energia/volume relativamente basso, e un sistema di complessità maggiore dei classici accumulatori.

  1. ^ M. Skyllas-Kazacos, M. Rychcik e R. Robins, in AU Patent 575247 (1986), a Unisearch Ltd.
  2. ^ P. A. Pissoort, in FR Patent 754065 (1933).
  3. ^ A. Pelligri e P. M. Spaziante, in GB Patent 2030349 (1978), a Oronzio de Nora Impianti Elettrochimici S.p.A.
  4. ^ M. Rychcik e M. Skyllas-Kazacos, J. Power Sources, 22 (1988) 59-67.

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